Ordinanza n. 226 del 2022

ORDINANZA N. 226

ANNO 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Silvana SCIARRA

Giudici: Daria de PRETIS, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 53, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Piacenza nel procedimento penale a carico di F.M. L., con ordinanza del 24 novembre 2021, iscritta al n. 219 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell’anno 2022.

Visto l’atto di costituzione di F.M. L.;

udito nella camera di consiglio del 5 ottobre 2022 il Giudice relatore Francesco Viganò;

deliberato nella camera di consiglio del 19 ottobre 2022.

Ritenuto che, con ordinanza del 24 novembre 2021, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Piacenza ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 53, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), «nella parte in cui non prevede che, nel determinare l’ammontare della pena pecuniaria in sostituzione della pena detentiva di durata sino a sei mesi, il giudice individui il valore giornaliero al quale può essere assoggettato l’imputato [in] quello di cui all’art. 459, comma 1-bis, del codice di procedura penale ovvero possa fare applicazione dei meccanismi di adeguamento di cui all’art. 133-bis del codice penale in luogo di quello di cui all’art. 135 cp», denunziandone il contrasto con gli artt. 3, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione;

che il rimettente è investito dell’opposizione avverso un decreto penale di condanna proposta da F.M. L., imputato del reato di cui all’art. 437 del codice penale, il quale ha concordato con il pubblico ministero l’applicazione, ex art. 444 del codice di procedura penale, della pena di 65 giorni di reclusione, sostituiti da 4.875 euro di multa, determinata – ai sensi dell’art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen. – al tasso di 75 euro per ogni giorno di pena detentiva;

che il criterio di ragguaglio tra pena detentiva e pena pecuniaria in specie applicabile non sarebbe tuttavia quello indicato dalle parti processuali, bensì quello previsto dall’art. 53, secondo comma, della legge n. 689 del 1981; disposizione che – attraverso il richiamo all’art. 135 cod. pen. – determina il tasso giornaliero nella somma minima di 250 euro, così dando luogo a una pena pecuniaria sostitutiva pari a 16.250 euro; di qui la rilevanza delle questioni, attesa la necessità di fare applicazione dell’indicato art. 53, secondo comma, che però recherebbe una disciplina irrazionale e contraria al principio di uguaglianza sostanziale e alla funzione rieducativa della pena;

che non sarebbe possibile un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata, volta a consentire la determinazione della pena sostitutiva mediante un tasso di ragguaglio inferiore a 250 euro giornalieri; ciò anche in ragione della modifica del medesimo art. 53, secondo comma, operata dall’art. 4, comma 1, lettera a), della legge 12 giugno 2003, n. 134 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di applicazione della pena su richiesta delle parti);

che, per effetto di tale interpolazione, l’art. 53, secondo comma, della legge n. 689 del 1981 richiama soltanto l’art. 133-ter cod. pen. – che permette la rateizzazione della pena pecuniaria – e non anche l’art. 133-bis, che consente al giudice di diminuire la pena pecuniaria stabilita dalla legge sino ad un terzo quando, per le condizioni economiche del reo, la misura minima sia eccessivamente gravosa, sicché l’eliminazione del rinvio all’art. 133-bis cod. pen. precluderebbe di ridurre l’ammontare della pena pecuniaria al di sotto del minimo legale;

che, quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni, il rimettente – richiamati ampi stralci della sentenza n. 15 del 2020 di questa Corte – osserva che l’attuale sistema normativo contempla due diversi criteri di ragguaglio tra pena detentiva e pena pecuniaria: da un lato, quello, più favorevole all’imputato, previsto dall’art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen., che equipara un giorno di pena detentiva a una somma compresa tra 75 e 225 euro; dall’altro lato, quello disciplinato dall’art. 53, secondo comma, della legge n. 689 del 1981, che determina il tasso giornaliero di sostituzione della pena detentiva in una somma non inferiore a 250 euro;

che l’applicazione del criterio di ragguaglio di cui al censurato art. 53, secondo comma, darebbe luogo a pene pecuniarie eccessivamente onerose, con conseguente trasformazione della pena sostitutiva in «un privilegio per persone abbienti»;

che, a seconda della modalità di esercizio dell’azione penale scelta discrezionalmente dal pubblico ministero, con richiesta di decreto penale di condanna, oppure con rinvio a giudizio, o, ancora, con emissione di decreto di citazione a giudizio, si produrrebbero «conseguenze sensibilmente diverse, in maniera del tutto ingiustificata, sotto il profilo sanzionatorio», in «netto contrasto con l’art. 3 della Costituzione»;

che tale irragionevole disparità di trattamento non potrebbe giustificarsi in ragione della finalità deflattiva connessa alla definizione del procedimento con l’emissione di decreto penale di condanna, atteso che il suo perseguimento non potrebbe «spingersi fino al punto di comprimere i diritti processuali delle parti e sacrificare la decisione di accedere ad esempio al rito abbreviato o ad un’istanza di applicazione [della pena su richiesta delle parti] per il solo fatto di non potere sostenere l’esborso economico conseguente alla conversione» della pena detentiva in pena pecuniaria;

che sarebbe altresì violato l’art. 27, terzo comma, Cost., poiché una pena pecuniaria eccessivamente onerosa rispetto alle condizioni economiche del condannato sarebbe percepita dallo stesso come ingiusta (oltre ad essere in concreto ineseguibile), e ciò vanificherebbe la funzione rieducativa;

che, a fronte dei denunciati vulnera, il rimettente sollecita un intervento di questa Corte che dichiari applicabile il tasso di ragguaglio previsto dall’art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen. per il procedimento per decreto anche alla sostituzione della pena detentiva di breve durata ai sensi dell’art. 53, secondo comma, della legge n. 689 del 1981; oppure che «consenta al giudice di applicare i meccanismi di adeguamento di cui all’art. 133-bis del codice penale»;

che il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto in giudizio;

che si è costituito in giudizio F.M. L., insistendo per l’accoglimento delle questioni sollevate e anch’egli richiamando diffusamente la sentenza n. 15 del 2020 di questa Corte.

Considerato che con la sentenza n. 28 del 2022, sopravvenuta all’odierna ordinanza di rimessione, questa Corte ha dichiarato, in senso conforme al petitum del rimettente, l’illegittimità costituzionale dell’art. 53, secondo comma, della legge n. 689 del 1981, nella parte in cui prevede che «[i]l valore giornaliero non può essere inferiore alla somma indicata dall’art. 135 del codice penale e non può superare di dieci volte tale ammontare», anziché «[i]l valore giornaliero non può essere inferiore a 75 euro e non può superare di dieci volte la somma indicata dall’art. 135 del codice penale»;

che, peraltro, il testo dell’art. 53 della legge n. 689 del 1981 è stato ora integralmente sostituito dall’art. 71, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), la cui entrata in vigore è prevista per il 30 dicembre 2022 (come previsto dall’art. 99-bis del d.lgs. n. 150 del 2022, introdotto dall’art. 6 del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, recante «Misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-COV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali»);

che l’art. 71, comma 1, lettera d), del menzionato d.lgs. n. 150 del 2022 ha altresì introdotto nella legge n. 689 del 1981 un nuovo art. 56-quater, che prevede una ancor più favorevole disciplina del tasso di ragguaglio tra pena detentiva e pena pecuniaria sostitutiva;

che, pertanto, le questioni ora in scrutinio debbono essere dichiarate manifestamente inammissibili perché ormai prive di oggetto (ex plurimis, ordinanze n. 206, n. 204, n. 172, n. 116 e n. 102 del 2022, n. 206, n. 192, n. 184 e n. 93 del 2021).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, vigente ratione temporis.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 53, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), sollevate, in riferimento agli artt. 3, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Piacenza con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 ottobre 2022.

F.to:

Silvana SCIARRA, Presidente

Francesco VIGANÒ, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria l'8 novembre 2022.